venerdì 25 novembre 2016

VERRO' QUANDO SARAI PIU' TRISTE

di Emily Bronte

Verrò quando sarai più triste,
steso nell’ombra che sale alla tua stanza;
quando il giorno demente ha perso il suo tripudio,
e il sorriso di gioia è ormai bandito
dalla malinconia pungente della notte.
Verrò quando la verità del cuore
dominerà intera, non obliqua,
ed il mio influsso su di te stendendosi,
farà acuta la pena, freddo il piacere,
e la tua anima porterà lontano.
Ascolta, è proprio l’ora,
l’ora tremenda per te:
non senti rullarti nell’anima
uno scroscio di strane emozioni,
messaggere di un comando più austero,
araldi di me?



UN INNO PER L’OCCHIO

di Jorge Debravo

Io dico che se l’anima ha un posto,
quel posto è l’occhio.
L’occhio che alimenta il nostro amore
e la nostra gioia.

L’uomo stesso, l’uomo
tutto fuoco e sorpresa,
non potrebbe essere uomo
senza l’occhio.

La vita, il mare, il cielo,
tutto era una vaga maceria,
fino a che un giorno l’occhio riunì tutto ciò ch’era vivo
e lo avvicinò ai volti.

Tutta l’eternità venne giustificata
il giorno che tutte le cose più vive della vita
si fecero pozzo di sorpresa
nell’occhio.


LETTERA

di Carlos Drummond de Andrade

E' molto tempo, si', che non ti scrivo.
Sono invecchiate tutte le notizie.
Sono invecchiato anch'io: Guarda, in rilievo,
questi segni su di me, non delle carezze
(cosi' leggere) che mi facevi in viso:
sono ferite, spine, sono ricordi
Lasciati dalla vita al tuo bambino, che al tramonto
perde la sapienza dei bambini.

La mancanza che ho di te non e' tanto
all'ora di dormire, quando dicevi
«Dio ti benedica», e la notte si spalancava in sogno.

E' quando, allo svegliarmi, vedo a un angolo
la notte accumulata dei miei giorni,
e sento che son vivo, e che non sogno.



COME SI GENERA LA POESIA

di Rainer Maria Rilke

Per un solo verso si devono vedere molte città,
uomini e cose, si devono conoscere gli animali,
si deve sentire come gli uccelli volano,
e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino.
Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute,
a incontri inaspettati
e a separazioni che si videro venire da lontano,
a giorni d’infanzia che sono ancora inesplicati,
ai genitori che eravamo costretti a mortificare
quando ci porgevano una gioia e non la capivamo,
a malattie dell’infanzia che cominciavano in modo così strano
con tante trasformazioni così profonde e gravi,
a giorni in camere silenziose, raccolte,
e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio
che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle,
e non basta ancora poter pensare a tutto ciò.
Si devono avere ricordi di molte notti d’amore,
nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti,
e di lievi, bianche puerpere addormentate che si schiudono.
Ma anche presso i moribondi si deve essere stati,
si deve essere rimasti presso i morti
nella camera con la finestra aperta
e i rumori che giungono a folate.
E anche avere ricordi non basta.
Si deve poterli dimenticare, quando sono molti,
e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino.
Poiché i ricordi di per se stessi ancora non sono.
Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto,
senza nome e non più scindibili da noi,
solo allora può darsi che in una rarissima ora
sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso.



SENZA UNA DATA DA RICORDARE

di Eduardo Mitre

Senza una data da ricordare
né un luogo ben preciso da indicare
ecco che arriva la dimenticanza.
Silenziosa
come un morto che galleggia sul fiume,
lontana, ineluttabile
come può essere solo il destino:
come un’ampia zona buia,
o una scultura perfetta,
come una faccia senza lineamenti,
senza sguardo. E’ così che arriva.
Si crea una sera, all’improvviso,
lasciandoci stupefatti,
senza un’esclamazione, senza un grido.
Ci rendiamo conto semplicemente che è nata.
E ora mi chiedo:
in quale istante, fra i molti istanti,
in quale giorno, fra i molti giorni
tu mi hai dimenticato?